La manovra di Bilancio 2025 è entrata in vigore da meno di un mese ma a Palazzo Chigi già si pensa alle prossime modifiche in ambito previdenziale. Al vaglio diverse proposte tra cui quella di farci lavorare fino a 71 anni.
Inutile negare che da questa legge di Bilancio 2025 ci saremmo attesi di più…molto di più! Forse troppo di più visto che l’Esecutivo, quest’anno, doveva fare tutto con solo 20 miliardi di euro circa a disposizione: quasi la metà rispetto agli altri anni. E a questo si aggiunge anche l’impossibilità di fare ulteriore debito.
Il Governo di Giorgia Meloni, forse, per il 2025, più di così davvero non avrebbe potuto fare eppure a molti di noi è rimasto l’amaro in bocca per quel che riguarda le pensioni. Ci saremmo attesi una rivalutazione che andasse ben oltre lo 0,8% – considerando, soprattutto, l’8,1% del 2023 e il 5,4% del 2024 – e speravamo in un addio definitivo alla legge Fornero.
Per un attimo ci abbiamo creduto quando uscì la notizia della pensione a 64 anni salvo poi capire che si trattava della solita pensione anticipata contributiva e che anche per quest’anno avrebbe continuato a rivolgersi solo ai lavoratori privi di contribuzione prima del 1996.
Ma, nonostante la nuova manovra sia entrata in vigore da neanche un mese, il Governo sta già valutando nuove modifiche da introdurre proprio nel settore delle pensioni. Per ora si tratta solo di ipotesi al vaglio dei legislatori ma non si esclude che potrebbero entrare in vigore il prossimo anno.
Le pensioni restano sempre il nodo più difficile da sciogliere perché, qualunque “pedina” si muove si rischia di farne crollare altre 10. Il Governo per il 2025 ha introdotto modifiche piuttosto marginali ma i grandi cambiamenti potrebbero arrivare nel 2026. Vediamo le ipotesi al vaglio dei legislatori.
L’obiettivo al momento sembra essere uno: far resistere il più possibile le casse dell’Inps messe a dura prova dalle troppe pensioni anticipate degli ultimi anni e dal netto calo demografico. Tra crollo delle nascite e giovani che si trasferiscono all’estero, il problema è: chi pagherà le pensioni nei prossimi anni? Ecco perché non si possono più agevolare troppe uscite di massa dal mondo del lavoro considerando anche che la durata media della vita continua ad aumentare.
Basti pensare che Il numero dei pensionati è pari a 16.230,157: 98.743 soggetti in più solo rispetto al 2022. Questo incremento allarmante è stato provocato soprattutto dalle molteplici forme di flessibilità in uscita approvate negli ultimi anni come le famose “pensioni a quote”. Oggi in Italia il rapporto tra lavoratori e pensionati è di 1,4: troppo pochi lavoratori rispetto alle persone in pensione e questo mette a rischio la stabilità del Paese.
Quest’anno, per mettere un freno alle uscite anticipate, il Governo non solo ha riconfermato le penalizzazioni per chi sceglie Quota 103 – ricalcolo interamente contributivo dell’assegno e pensione mai superiore a 4 volte il trattamento minimo dell’Inps – ma ha esteso il bonus Maroni sia a chi rinuncia a Quota 103 sia a chi rinuncia alla pensione anticipata contributiva.
Tuttavia potrebbe non essere sufficiente. Per questa ragione a Palazzo Chigi si sta valutando di dare una bella sforbiciata alle misure di pensione anticipata in vigore che, attualmente, sono davvero tante. Si sta valutando di lasciare solo fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà ma con anticipo massimo di cinque anni e di cancellare tutte le altre misure.
Non solo: “punire” non è mai la scelta migliore, è sempre meglio premiare e dare incentivi ai più virtuosi. Pertanto, forse già nel futuro prossimo, potrebbe essere introdotto un bonus per incentivare i lavoratori a non andare in pensione nemmeno a 67 anni ma a restare al lavoro fino a 71.
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