Esistono diverse fattispecie per cui la Naspi, l’aiuto economico per i lavoratori che perdono involontariamente il lavoro, va restituita.
Possono accedere alla Naspi i lavoratori dipendenti (compresi apprendisti, soci lavoratori di cooperative, personale artistico e dipendenti a tempo determinato delle pubbliche amministrazioni) che hanno perso l’impiego dopo aver accumulato un certo numero di contributi. I requisiti per il 2025 sono pari a tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. E almeno trenta giorni di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti.
Rispettando tali vincoli, il disoccupato può ottenere l’indennità per un periodo pari alla metà delle settimane di contribuzione versate nei quattro anni precedenti alla disoccupazione, per un massimo di due anni. Ma in alcuni casi, l’INPS, che gestisce l’indennità, può chiederne la restituzione.
La NASPI va restituita, per esempio, se il lavoratore comincia un lavoro da dipendente prima della scadenza del periodo per cui è stata concessa l’indennità, o se il suo reddito annuo presunto supera i limiti stabiliti. Scatta la restituzione degli importi indebitamente percepiti anche con il raggiungimento ai requisiti per ottenere una pensione o con la mancata partecipazione a progetti di riqualificazione.
Un altro caso riguarda la cosiddetta NASPI anticipata. Parliamo del sostegno economico erogato a titolo di indennità di disoccupazione versato in un’unica soluzione anziché mensilmente. Ovvero quando l’importo complessivo della prestazione spettante, ancora non erogato, finisce in mano al richiedente in una sola volta.
L’INPS intende questa anticipazione come un incentivo per l’avvio di un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale. Se il disoccupato vuole rimettersi in gioco può insomma utilizzare i soldi spettanti dall’indennità come fondi per coprire le spese iniziali utili ad avviare una nuova attività imprenditoriale.
La circolare n. 36 del 4 febbraio 2025 dell’INPS ha discusso una sentenza della Corte Costituzionale, la numero 90/2024. Questa sentenza ha in pratica dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, che imponeva la restituzione integrale dell’anticipazione della Naspi in caso di interruzione dell’attività autonoma o imprenditoriale per cause di forza maggiore non imputabili al lavoratore.
In pratica, la Corte ha stabilito che l’obbligo di restituzione dell’anticipo una tantum dovrebbe essere proporzionale al tempo effettivo di lavoro subordinato svolto. Quando? Durante il periodo di erogazione anticipata. Quindi non si può pretendere una restituzione totale.
In tal senso, d’ora in poi, l’INPS dovrà valutare le circostanze di interruzione dell’attività imprenditoriale o autonoma per determinare se le cause di tale stop possano essere interpretata come “eventi di forza maggiore“. In questo caso la Nspi andrà restituita solo parzialmente. Cioè per il periodo corrispondente alla durata effettiva del lavoro subordinato svolto.
Le cause di forza maggiore possono essere calamità naturali, guerre, incedi, esplosioni, misure restrittive governative per pandemie… dunque eventi di natura grave ed eccezionale. La mala gestione finanziaria, la perdita di clienti o i debiti non rientrano invece nelle cause di forza maggiore.
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